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Fin da bambina mi ricordo il cuscus come una festa, come un incontro tra cultura e piacere. Per me bambina era un'aspettativa, una ricorrenza, attesa e desiderata, una sorta di "Sabato del villaggio", di leopardiana memoria. Cucina, storia e ricordi, s'intrecciano in questo libro, ove il cuscus ne è il "fil rouge". Siffatta opera non è un romanzo, non è un saggio, è un'immersione in paesi, tempi, odori, sapori diversi e soprattutto un viaggio nell'umanità. Le sponde del Mediterraneo furono un crocevia di scambi e il cuscus ne approfittò per approdare in Spagna e da qui raggiunse, come una brezza profumata, ogni angolo d'Europa fino ad arrivare a Livorno, crogiolo di razze e vessillo di tolleranza e libertà, ove si radicò, nella versione Ebraica Sefardita. La storia del cuscus, tuttavia, non è una fiaba, non è un racconto indolore, giacché le sue vicende s'intersecano con schiavitù, pogrom, genocidi, violenza e sopraffazione e, in tale oceano di dolore, ha rappresentato un invito alla comprensione, all'ospitalità, alla fratellanza, senza le quali l'uomo cessa di essere tale.